Quando mio marito ed io ci siamo separati era il '92 ergo mio figlio aveva 7 anni e mia figlia 5. Chiaramente non siamo arrivati alla separazione dalla sera alla mattina, non è stato un percorso travagliatissimo ma le nostre belle scosse telluriche non ce le siamo risparmiate. Io, ad essere sincera ero in un tal casino mio personale che non so fino a che punto ho osservato con attenzione i bambini, la mia sensazione è che fossimo riusciti a risparmiare loro il peggio ma non ci metterei proprio la mano sul fuoco.
La separazione di per sè è stata molto civile, non ci sono state sceneggiate, lui si è comportato un pò da vittima ma poteva anche andare peggio. Dopo tre anni la situazione era abbastanza assestata: io con un nuovo compagno, lui a fare un pò di sturm und drang ma nell'insieme non andava male. Al punto che le maestre ci hanno poi detto che pensavano ci fossimo riappacificati visto che nelle situazioni di incontro casa-scuola eravamo sempre presenti entrambi.
Peccato che dopo tre anni lui sia morto. Il giovedì sera ci siamo lasciati davanti al centro commerciale dicendo che ci saremmo rivisti di lì a qualche giorno, il sabato è stato male e, dopo una settimana, stop. Finito tutto.
I miei figli a quel punto avevano 10 e 8 anni: quando ho detto loro che papà non ce l'aveva fatta, la princi sembrava le avessero tirato dell'olio bollente addosso, il bartender è rimasto immobile e solo una lacrima gli è scesa sul viso. E' stato il momento più agghiacciante e doloroso della mia vita, non lo auguro a nessuno e spero vivamente di non dover rivivere mai più niente di simile nella mia vita.
Da lì in avanti il bartender è cresciuto senza un netto riferimento maschile e con una fortissima presenza femminile. E' cresciuto in una casa di donne e in una famiglia dove le donne sono sicuramente una componente molto forte. Il nonno paterno ha scelto da sempre di defilarsi in lavori agricoli di precisione maniacale per sottrarsi ad una nonna paterna dilagante. Il nonno materno (aka l'ortoressico) è stato assorbito in modo quasi esclusivo dalle cure ad una nonna materna (mammà) la cui malattia è stata secondo me sopravvalutata per lunghi anni. Mio fratello, non pervenuto. Il fratello di mio marito di un'assenza ingombrantissima. Il batavo a prudente distanza di sicurezza, all'inizio guardava senza capire un mondo lontano da lui anni luce ma quando questo mondo non gli ha fatto più paura non è che si sia coinvolto poi più che tanto. Oggi li considera figli suoi ma la strada per arrivarci è stata lenta e tortuosa (come con tutte le sue decisioni epocali, peraltro)
Poi il DNA ha fatto il resto, non so, morale che lui oggi è un giovane uomo che temo abbia davvero il caos dentro ma non sono sicura che sia in grado di partorire una stella danzante. Ha sprazzi di genialità ma non la costanza di portarli avanti, è in grado di operare grandi sforzi di cui però non esita a lagnarsi a posteriori, non riesce a convivere con l'autorità a meno che non sia anche autorevole, ovviamente nella sua scala di giudizio. E, dulcis in fundo, riveste tutto questo con una scorza da uomo che non deve chiedere mai, apparentemente burbero, molto sicuro di sè, orgoglioso ai limiti della tracotanza.
Ha ancora un grosso legame con me, al punto che non c'è novità che lui non mi comunichi immediatamente ma poi taglia corto, non vuole parlarne e se lo fa è solo in modo anedottico, senza toccare cosa ha davvero dentro se non in rarissimi casi.
Se non fossero bastati i casi della vita a renderlo un basket case, i locali in cui ha lavorato fino ad oggi hanno contribuito a rafforzare questo suo atteggiamento: movida urbana da notte fonda, locali abbastanza ruvidi ma tutti parecchio forti commercialmente, fanno parte della stessa società per cui le persone in gioco sempre quelle sono ed il clima 'aziendale' quello è. Insomma un contesto da
'amico, se ti piace è così diversamente quella è la porta. E sbrigati che fuori c'è la fila' ma mica solo con i dipendenti, anche e soprattutto con i clienti.
Tutto questo sproloquio per arrivare a dire che l'esperienza di lavoro in montagna si sta rivelando il casino che io speravo non fosse.
Ci è andato contro voglia, più che altro perchè la situazione da cui proviene non era più vivibile: il locale andava male ed i proprietari come unica soluzione usavano il controllo dei costi, tagliando tutto il tagliabile. Ma per lui è stato un taglio difficile da fare perchè in quel posto ci stava bene, conosceva tutti e questo ruolo da uomo duro ma fuori di capoccia ci stava a pennello.
Quindi è andato su con in testa una sorta di nostalgia per il posto precedente che gli ha fatto valutare negativamente tutto quello che vedeva. Noi siamo andati a trovarlo tre volte e tutte e tre lui si ha vibratamente criticato il locale mentre eravamo dentro e senza peritarsi più che tanto di non farsi sentire da altri. A farglielo notare lui faceva spallucce.
Solitamente quando papà e mammà appaiono nei posti dove il giovane virgulto lavora, per lo meno in questo ambiente, è tutta una roba di accoglienza calorosa, in questo caso io avevo notato che le altre persone (tutte ragazze) non ci filavano per niente e solo la persona che l'ha voluto lì a lavorare era gentile ed accogliente con noi.
Quando lui ha protestato perchè i soldi erano pochi rispetto alle ore lavorate ma anche rispetto al pattuito ... trallalààà ... si è scatenato l'inferno ed è saltato fuori che al capo supremo non piace come lui lavora, che con i clienti è molto bravo ma che con gli altri dipendenti lui è tracotante, che in pausa pranzo ha bevuto una birra e loro sono in settanta e se tutti e settanta bevessero una birra lui andrebbe in fallimento, che dietro il banco ha bevuto un bicchier di vino, che una volta ha lasciato il bancone solo sommariamente pulito (erano le tre e mezza e lui era molto stanco, dice, ed in ogni caso sarebbe toccato a lui il giorno dopo).
Insomma a venerdì pareva che volessero rispedirlo a casa, poi non so bene cosa sia successo perchè non l'ho più sentito ma se lo licenziano immagino gli facciano almeno fare il week end prima, mica sono fessi no? Non ho voluto chiamarlo io per lasciargli i suoi spazi ma se oggi non lo fa lui non credo di resistere alla curiosità.
Lui è caduto
furiosamente e dolorosamente dal pero.
E' davvero convinto di aver lavorato bene, la sua attenzione è massima sui clienti che ritiene di aver servito in modo eccellente, avendone riscontri oggettivi, non ritiene importanti e quindi non vede eventuali difficoltà di rapporto con i colleghi. Non capisce, o se lo capisce non riesce a farlo, che il rapporto di lavoro è innanzitutto un contratto economico regolato da rigide norme che se non ti appaiono evidenti subito è solo perchè non le hai colte, non perchè non ci siano. Ergo lui lavora dalle 14.30 a notte fonda, non pretende una pausa cena ma poi ritiene di potersi consentire un bicchiere di vino con i clienti. Dice che il contesto non è quello dell'hotel a 5 stelle dove questo non si può fare perchè se lo fosse lui dovrebbe essere pagato molto di più. Temo però che i parametri siano prevalentemente di sua fantasia visto che i riscontri che ha avuto con la realtà sono stati tutto sommato pochi.
Sta magonando alquanto, figurarsi la sottoscritta che non riesce quasi a pensare ad altro. Dopo tutti questi mesi asfittici ci sarebbe voluto proprio un periodo positivo ma sembra che non sia ancora giunta l'ora. E purtroppo temo che sia abbastanza fondato il dubbio di opportunismo da parte di questa gente, diversamente come mai tutti questi problemi sono venuti fuori proprio quando lui si è lamentato del quattrino???
Io spero con tutte le mie forze che lui riesca a fare il salto di qualità e che tragga da questa esperienza gli insegnamenti necessari. Che impari cosa è davvero l'umiltà perchè evidentemente io non sono stata in grado di insegnargliela (ed in effetti io umile non lo sono di sicuro).
Vorrei poterlo aiutare a vedere, a capire, a passare attraverso queste esperienze capendo cosa davvero è successo, senza esserne vittima e basta. Mi rendo conto però che non posso fare granchè, che debbo stare al mio posto e che il gioco è in mano sua. Faccio una fatica tremenda a stare nei miei panni.
E sto scoprendo che, dopo una vita passata a fare la protagonista sul palcoscenico della vita, dove le mie decisioni erano quelle determinanti per la vita della mia famiglia, oggi tutto ciò non è più vero. La carne della mia carne vive di vita propria, lontana da me e chiusa nella sua sfera personale come tutti e com'è giusto che sia. Io non posso che lanciare qualche timido suggerimento nella speranza che serva qualcosa ma nella consapevolezza che non sarà così. Resto a chiedermi cosa avrei dovuto fare diversamente per non arrivare oggi a questi risultati, come avrei potuto ottenere un figlio meno complicato, più centrato, meno prono a vivere in modo così turbolento e sofferente.
Faccenda complicata questa